giovedì 11 settembre 2014

Dalla parte delle bambine. Pesaro, 4/9/'14. Appunti sul convegno. Seconda parte.

Riprendo la trascrizione dei miei appunti del Convegno "Dalla parte delle bambine", svoltosi a Pesaro il 4 settembre 2014. Per leggere la prima parte dei miei appunti (per forza di cose parziali e soggettivi) si veda il post precedente datato 9 settembre.




Filippo Mittino

La discussione è proseguita con l'intervento dello psicologo e psicoterapista Filippo Mittino che insieme allo scrittore Antonio Ferrara ha pubblicato Scappati di mano. Sei racconti per narrare l'adolescenza e i consigli per non perdere la strada, San Paolo, 2013. 



L'incontro con Ferrara è avvenuto, racconta lo psicologo, grazie al romanzo Ero cattivo e alla presentazione che lo scrittore ne fece a Trecate, dove Mittino vive. 
In Scappati di mano ai racconti brevi di Ferrara seguono dei commenti sulla psicologia dei personaggi e dei temi proposti, con alcuni schemi ad uso degli educatori.
Mittino ha parlato di come la lettura dei romanzi ci porti a giocare con finzione e realtà. L'immedesimazione ci fa fare una sorta di palestra per i nostri ruoli nella vita reale e per la risoluzione dei problemi. Ha citato il saggio di Gottschall L'istinto di narrare, pubblicato dalla Boringhieri nel 2014. Un saggio dove lo studioso americano parla dell'"isola che non c'è", un'isola creata dalla finzione di cui ci nutriamo con la letteratura e il cinema e che è una sorta di nicchia ecologica. Il nostro girovagare nelle avventure e nei sentimenti delle vite altrui dei personaggi di carta o dello schermo ci permette di compiere una sorta di apprendistato alla fatica del vivere la nostra di vita.
Mittino parlando della possibilità che ci dona la lettura di vivere più vite e più prospettive, ha citato lo psicanalista Franco Fornari e le sue teorie sui ruoli affettivi, sulla "democrazia degli affetti" che permette di avere più ruoli: madre, figlio, maschio, femmina. In antitesi alla dittatura degli affetti.



Antonio Ferrara

Antonio Ferrara intervenuto subito dopo ha proposto un ringraziamento collettivo alla libraia Stefania Lanari per l'organizzazione del convegno, poi ha fatto alzare le mani ai maschi presenti in sala e come abbiamo già detto eravamo davvero pochissimi.
Con il tono scherzoso che lo contraddistingue ha iniziato a parlare di Ero cattivo e ha poi citato la frase di Danilo Dolci messa in esergo, ovvero: "ciascuno cresce solo se sognato" . 
I ragazzi crescono se qualcuno è capace di vedere/sognare il loro possibile futuro e stimolarne le potenzialità positive. Nel romanzo Ero cattivo questo concetto Ferrara lo fa incarnare dal sacerdote della comunità per il recupero di minori difficili cui viene affidato Angelo, il protagonista.
Lo scrittore si è soffermato anche sulla genesi del libro scritto con lo psicologo Mittino, confessando anche la sua lentezza nel concretizzare l'impegno propostogli dal coautore. Finché un giorno in un trafiletto ha trovato, raccontata con il tono impersonale della cronaca giornalistica, la notizia del suicidio di una ragazza a Novara, vittima di cyberbullismo. Ha cercato di passare dall'impersonale freddezza di quella terza persona usata dal giornalista alla prima persona singolare, cercando di ricreare i pensieri e le emozioni della ragazza nei minuti che hanno preceduto la decisione del suicidio. 
Lo scrittore, per tornare al potere della finzione narrativa, ha ricordato che abracadabra è una parola ebraica il cui significato originario sarebbe quello di "mentre parlo creo".
Poi  ha letto ad alta voce il racconto in questione: Il balcone.
A lettura conclusa, lettura che credo abbia emozionato molti dei presenti, ha ripreso la parola lo psicologo Mittino che ha commentato il racconto, parlando di come le sensazioni descritte siano molto fisiche. Ha anche sottolineato l'importanza che ricopre l'immagine mentale del proprio corpo per gli adolescenti. Lo psicologo ha detto che le pagine di commento al racconto Il balcone sono venute di getto, ma che l'editing è stato più duro degli altri suoi contributi.
Il corpo è simbolico, è una sorta di biglietto da visita per l'adolescente. 
Un corpo a due nella fase amorosa, con lo sguardo dell'altro a fare da specchio. Con la fine dell'amore, descritta nel racconto, si rompe lo specchio e Marco sceglie il ruolo della vendetta, utilizzando delle foto fatte in intimità come arma contro la ragazza che lo ha lasciato. Mette sul proprio profilo Facebook quelle immagini. Foto che vedranno tutti e che daranno la stura alla ferocia dei compagni di classe, dei suoi coetanei che la insultano sia de visu che sulla rete.
Lei quindi con la morte cerca di liberarsi dall'immagine del proprio corpo. 
Molti adolescenti che hanno tentato il suicidio raccontano di come volessero liberare il loro pensiero dal peso del corpo.
Mittino ha quindi evidenziato dell'importanza dell'attenzione da parte degli adulti nei confronti dei disagi dei ragazzi e di come vadano percepite in tempo le richieste di aiuto.



Sonia Basilico

Sonia Basilico cantastorie ed esperta di letteratura per l'infanzia, si è presentata dicendo che lei cerca di portare i libri ai bambini e agli adulti. Libri per crescere liberi. Ha poi raccontato una breve storiella per far riflettere su come la mancanza di parole al femminile (ad esempio per molte professioni) porti alla mancanza del concetto stesso. 
Anche la parola magistrata non si usa, eppure vi sono donne magistrato dal 1963. Non vengono aggiornati termini al femminile a differenza dei tanti vocaboli che sorgono da anglicismi.
Ha poi passato in rassegna il differente senso che assumono alcune parole dette al maschile o al femminile, sottolineando come al femminile vi sia spesso una accezione negativa: 
Ecco l'elenco che ha proposto con un pizzico di ironia: cortigiano/cortigiana; massaggiatore/massaggiatrice; professionista; uomo di strada/donna di strada; uomo pubblico/donna pubblica; intrattenitore/intrattenitrice; uomo allegro/donna allegra; governante (al maschile)/la governante; maestro (grande artista)/maestra (insegnante).
La relatrice ha ricordato le  Indicazioni sull'uso non sessista della lingua italiana.del ministero delle pari opportunità (1987) a cura di Alma Sabatini.
Passando poi a parlare di scuola la Basilico ha citato l'esperienza di
Bruno Munari, il quale ci ha mostrato come la crescita del bambino debba andare insieme all'esperienza del gioco. Nella scuola ci sono poche ore dedicate al gioco, che invece permette ai bambini di confrontarsi sulle regole e di rinunciare almeno un po' al proprio ego.
Bisogna cercare di decostruire gli stereotipi del tipo "l'uomo è cacciatore" per evitare di leggittimare la violenza maschile.



Irene Biemmi

A seguire ha parlato la pedagogista Irene Biemmi, che lavora presso l'Università di Firenze e si occupa di pedagogia di genere e delle pari opportunità. E' anche autrice di vari saggi, tra i quali Educazione sessista.Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Rosenberg & Sellier, 2011. Ha scritto anche libri dedicati ai bambini, come La principessa azzurra, Coccole Books, 2014.
Con piglio deciso e con un pizzico di ironia ha smontato, davanti ad una platea di quasi tutti insegnanti,  il falso mito di una scuola come uno dei pochi contesti in cui la parità tra maschi e femmine viene completamente garantita. Una scuola fortemente femminilizzata, l'82% dei docenti è donna; il 57% nelle scuole superiori. 
Più ragazze tra chi studia, più donne tra chi vi lavora. 
A partire dagli anni sessanta, settanta c'è stata una inedita opportunità di studiare per le ragazze che spesso sono più brave dei compagni maschi. Vivono ancora l'istruzione come possibilità di emancipazione, ma non è detto che abbiano le stesse opportunità formative dei maschi.
I saperi trasmessi dai libri di testo delle elementari si fondano spesso su saperi patriarcali. L'indagine che ha compiuto la Biemmi ha preso in esame 10 libri di lettura per le elementari delle maggiori case editrici (De Agostini, La scuola, Capitello, etc), libri pubblicati dopo il 2000.
Tra l'altro nel 1998 era nato Polite (Pare opportunità nei libri di testo), un progetto europeo di autoregolamentazione per l'editoria scolastica per evitare discriminazioni di genere.
Il 59% dei protagonisti delle storie sono maschi contro il 37% di femmine, pur essendo al contrario i maschi minoranza tra gli studenti. 
Ma il dato che colpisce di più, di una editoria che spesso puzza di stantio, è il decisamente minor numero di modelli offerto alle bambine. Nelle storie i protagonisti maschili svolgono 50 professioni (dal marinaio al pirata, dall'esploratore al boscaiolo), le femmine ne svolgono solo 15 (maestra, strega, maga, scrittrice, casalinga, estetista, etc).
L'immaginario che si crea con questo tipo di libri offre al maschio molte possibilità, le bambine invece sono relegate a ruoli tradizionali e a un mondo che non c'è più. 
Da parte degli editori e dei curatori di questi volumi c'è il dolo, sorride amaramente Irene Biemmi.
Anche nell'uso degli aggettivi si possono riscontrare parecchi stereotipi (e qui cita ancora il lavoro di Alma Sabatini, sul sessismo nella lingua).
A proposito degli aggettivi "dolorante e vergognosa" cita una storiella tratta da un libro di testo per le elementari, Letture con le ali, della casa editrice Il Capitello. 
Qui c'è una Luna  sfaticata e avida, moglie del Sole. 
Il Sole dopo i suoi giri nel cielo torna a casa, non trova la cena pronta, la prepara e una volta messa in tavola gliela ruba la moglie Luna.
Da lì la ragione della separazione tra Sole e Luna. 
Il tutto servito senza nessuna nota di contestualizzazione da parte dei curatori.
Anche andando ad indagare le ambientazioni dei racconti scelti si nota come quelli in cui vivono i protagonisti maschili siano aperti e ricchi di avventure (isole, mare) mentre quelli dove vivono le bambine sono chiusi o al massimo recintati (giardino, parco).
Anche le mamme moderne e lavoratrici sono spesso messe in ridicolo, danno solo surgelati ai loro figli o li nutrono di merendine.



La sessione mattutina si è conclusa con le relazioni di Francesca Ceccarelli e Valentina Corinti del centro antiviolenza Parla con noi di Pesaro.
Entrambe membre dell'associazione Percorso Donna  nata dall'azione iniziale di alcune avvocate che volevano fare promozione sociale e prevenzione della violenza, a partire dalle scuole. Contro i luoghi comuni, gli stereotipi, i linguaggi sbagliati che se non scalfiti si trasformano in comportamenti di prevaricazione e violenza. Ora l'associazione coinvolge donne provenienti da vari settori.
Nelle classi di scuole secondarie, ha raccontato la Corinti,  hanno affrontato il tema dell'uso dei social e del cyberbullismo, facendo riflettere su come il nostro modo di commentare possa essere violento e offensivo. 
Nei loro incontri con le scuole invitano a riflettere su ciò che i ragazzi scrivono nei vari Spotted dedicati ai loro istituti. Spesso con la maschera dell'anonimato danno la stura a offese, specialmente contro le diversità o i difetti fisici. Come un tempo sui muri, ma ora quelle offese sono on line e l'effetto può essere molto più duraturo e violento.
Il tentativo è quello di aumentare la consapevolezza nei ragazzi di quanto sia importante un uso responsabile dei social network.
Ceccarelli ha anche parlato della spirale che porta molti ragazzi e ragazze a mettersi in mostra usando il social ask per poi essere bersagliati da commenti feroci e insulti anonimi. Vi sono stati anche casi di suicidio in seguito alla destabilizzazione emotiva dei social network.
Vi sono 70 milioni di adolescenti che usano i social nel mondo e un milione in Italia. Va quindi guidato e monitorato il loro uso. Da parte dei genitori c'è la responsabilità di non lasciare soli i ragazzi in quel territorio virtuale che può dare sofferenze reali se non usato con consapevolezza. Un mondo virtuale con cui anche la scuola deve iniziare a fare i conti.
Durante i loro interventi nelle classi le esperte del progetto proiettano, togliendo gli eventuali nomi e cognomi delle vittime di offesa, le frasi scritte dai ragazzi stessi sui social, per farli riflettere su quanto non siano innocenti quelle loro parole.

Nel pomeriggio si sono svolti vari workshop. Vedi i programmi completi nel sito di Adotta l'autore.
Io ho seguito i due laboratori che si svolgevano nella sede della Provincia di Pesaro e che erano entrambi dedicati alle scuole superiori di primo e secondo grado.

Nel laboratorio curato da Valentina Corinti, Francesca Ceccarelli e Monica Martinelli, dal titolo Parole virtuali, sofferenze reali, si sono presi in esame i modi in cui la stampa e la tv parlano di femminicidio, attraverso la visione e una successiva discussione su un video a cura del collettivo Un altro genere di comunicazione dal titolo La violenza sulle donne raccontata dai media
Nel video si evidenzia come spesso i quotidiani diano le notizie di violenza sulle donne utilizzando immagini di repertorio che strizzano l'occhio alla morbosità maschile, andando a scavare negli archivi fotografici della vittima o dando giustificazioni agli uomini parlando di delitti passionali. Una stampa ancorata a stereotipi maschilisti e incline a sciacallaggi sulla vita quotidiana della vittima.
Una donna italiana su tre, dai 16 ai 70 anni, ha subito qualche forma di violenza. Sono dati impressionanti che dovrebbero presupporre un modo di fare informazione più rispettoso della dignità delle vittime e meno attento a titillare la morbosità vera o presunta del pubblico. 
Questo tipo di analisi e il successivo lavoro di analisi di alcuni articoli di quotidiani su casi di cyberbullismo o di violenza sulle donne, viene svolto anche con i ragazzi delle superiori. Viene fornita loro una griglia di domande per individuare come il caso sia descritto (quale sia il movente, come venga descritta la vittima e come l'autore della violenza, etc).
Un altro lavoro interessante che viene svolto nelle classi e che le esperte ci hanno mostrato  è stato quello di leggere le frasi offensive che nei profili FB  dedicati alle scuole, i ragazzi scrivono in forma anonima contro coetanei di cui fanno nome e cognome. Viene loro fatto fare un cartellone dove devono collocare le frasi in due settori: è violenza / non è violenza.
Il laboratorio è stato anche un utile momento di confronto tra i docenti intervenuti sulle loro esperienze nei diversi contesti scolastici.

Come laboratorio conclusivo ho scelto quello condotto dalla psicoanalista Nadia Muscialini,  responsabile del centro antiviolenza "Soccorso rosa"  dell'Ospedale San Carlo Borromeo di Milano e dallo psicologo Stefano Reschini che collabora con lei nei progetti di prevenzione nelle scuole.
Il titolo del laboratorio era La libertà di pensiero come antidoto agli stereotipi. Pari passo incrocia Pennac, Vargas e Nissim Momigliano
Nel workshop si è sviluppato un dialogo con gli insegnanti partecipanti. Gli esperti hanno raccontato le loro esperienze nelle scuole e il generale livello di poca conoscenza che i genitori hanno nei confronti dei giochi elettronici che se molto violenti e se usati per tempi prolungati danno assuefazione alla violenza e tendenza a non reagire (anche nei confronti di un linguaggio violento). Un eccessivo di uso di tali giochi porta secondo la psicanalista ad una anestesia emotiva. Si è fatto cenno anche al dibattito in corso sull'utilità o meno dell'inserimento di tablet nelle attività didattiche. Vi sono molte voci critiche da parte di esperti in materia, a proposito in particolare del rischio di perdere capacità mnemomica e capacità di concentrazione.
E' stato citato il saggio del neuroscienziato ed esperto di rete Manfred Spitzer, Demenza digitale, Corbaccio, 2013 che analizza i danni di un eccessivo uso delle tecnologie digitali sulle capacità di apprendimento, nonché le dipendenze che esse possono creare. (Si veda un'intervista allo studioso tratta dal Tuttoscienze de La Stampa).
Il rischio è quindi quello di rincorrere un modello di scuola 2.0 che negli Stati Uniti stanno rimettendo in discussione. Secondo i due esperti il tablet deve essere solo uno tra i tanti strumenti utilizzabili a scuola, non trascurando gli i saperi legati alla manualità.
Nella discussione che si è sviluppata all'interno del gruppo di insegnanti presenti si sono poste le questioni relativi all'uso e all'abuso di Facebook che spesso diventa palestra di offesa e di violenza verbale nei confronti dei compagni. Muscialini e Reschini sono stati concordi nel dire che i genitori devono essere molto più consapevoli e partecipi nel controllare i profili dei propri figli, non si tratta di un diario segreto, il profilo è pubblico e in quanto tale va controllato dal genitore che è anche penalmente responsabile di eventuali frasi o immagini offensive inserite dal proprio figlio.
Tra l'altro molti bambini accedono a Facebook prima del limite di età (13 anni compiuti), inserendo dati falsi.
E' importante che i ragazzi imparino a fare i conti con le conseguenze delle loro azioni, in questo senso è anche utile l'intervento nelle scuole della Polizia postale ed è necessaria una educazione alle emozioni e all'affettività che può essere svolta anche con l'uso della lettura. 
Reschini ha citato in particolare Pennac e il suo commissario Rabdomant che nel suo lavoro mette molto in campo le capacità intuitive. Per questioni di tempo la parte relativa ai testi letterari è rimasta un po' incompiuta.
Probabilmente, per il futuro si potrebbe alleggerire un pochino la mole degli interventi mattutini per dare maggiore spazio alla parte laboratoriale del pomeriggio. Comunque è stata un'utile giornata di aggiornamento, di riflessione e di confronto.
















martedì 9 settembre 2014

Dalla parte delle bambine. Convegno. Pesaro, 4/9/2014. Appunti, prima parte.




Giunto alla settima edizione, quest'anno il consueto convegno legato al progetto di "Adotta l'autore" si è svolto a Pesaro il 4 settembre 2014, presso il Teatro Sperimentale.
La platea era soprattutto affollata di insegnanti provenienti da varie città e paesi, in particolare da Marche e Romagna.
Avendo preso alcuni appunti, ovviamente soggettivi e parziali, ho deciso di condividerli con chi fosse interessato al tema di quest'anno che era: 
Dalla parte delle bambine. 
Per far capire le finalità che si proponeva la giornata pesarese vi cito alcune frasi tratte dalla brochure del programma del  convegno:
"Gli stereotipi di genere non sono stati scalfiti, semmai si sono adeguati ai tempi. Gli imperativi restano i bulli e le pupe, ma anche nella versione speculare, le bulle e i pupi sono categorie cristallizzate, scintillanti nel loro fascino di armature, e mortifere negli esiti. Impediscono a ragazze e ragazzi in egual modo di diventare individui: consapevoli di se stessi, dei propri corpi, della propria posizione nel mondo al di là del genere o attraverso esso. (Hamelin n. 29, Questioni di genere, ottobre 2011) 



Un convegno di formazione per insegnanti ed educatori per riflettere sugli stereotipi di 
genere ancora presenti nelle principali agenzie educative, famiglia e scuola, analizzare 
in modo critico i libri di testo e la letteratura dedicata all'infanzia e discutere i modelli educativi di stampo discriminatorio ancora esistenti". 
(vedi programma sul sito: adottalautore.it e l'interessante speciale della rivista Hamelin, sopra citato)




Lucia Ferrati

A creare la giusta atmosfera, e a far porre la concentrazione sul tema dei condizionamenti nei confronti delle bambine ci ha pensato la splendida lettura ad alta voce di Lucia Ferrati dedicata a Gertrude bambina nei Promessi Sposi manzoniani.   (Si veda, volendo anche sul web il nono capitolo  )


Gertrude bambina. Illustrazione di Francesco Gonin, edizione Promessi sposi a dispense1840-42

Poi ci sono stati i saluti istituzionali dell'assessore provinciale all'istruzione Domenico Papi e dell'assessore alla bellezza (che, tradotto per i non pesaresi, sarebbe l'assessore alla cultura) Daniele Vimini.
I saluti dell'ufficio scolastico li ha portati la professoressa Agostinelli del Liceo Mamiani di Pesaro.


Monica Martinelli

La coordinatrice del dibattito Monica Martinelli (della casa editrice Settenove )  ha introdotto i lavori con una serie di utili precisazioni terminologiche. 
Gli aspetti sotto esame erano: gli stereotipi sul sesso biologico, ruoli di genere, discriminazioni e violenze. Stereotipi come idee fisse, cristallizzate. Ha anche ricordato la normativa CEE del 1979 che poneva degli obblighi per gli stati membri di lottare contro gli stereotipi di genere, la convenzione di Istanbul del 2010, ratificata dall'Italia, per la quale ci si impegnava a attivare percorsi scolastici contro gli stereotipi. Ratifica cui non ha fatto seguito molto in termini concreti. Martinelli ha anche denunciato le carenze della recente legge sul femminicidio nella quale mancano riferimenti al lavoro nelle scuole e nei media a proposito dei temi delle discriminazioni di genere. Ha fatto poi un rapido cenno a come la sua casa editrice cerchi di fare prevenzione contro gli stereotipi e le discriminazioni, proponendo testi operativi per le scuole, riflessioni sul tema o modelli di narrazioni per bambini alternative a quelle ancora inchiodate a immagini zeppe di stereotipi.


Sara Marini

Ha poi preso la parola Sara Marini dell'associazione romana "Scosse", che ha raccontato come nel 2011 un insieme di giovani donne, provenienti dal mondo della ricerca universitaria sugli studi di genere, abbiano provato a operare fuori del mondo accademico. Occupandosi quindi di vari settori. Lei in particolare ha narrato l'esperienza svolta nella formazione e in particolare per i bambini da 0 a 6 anni. Hanno pensato di intervenire sugli adulti: genitori, insegnanti, etc. Hanno creato un osservatorio sugli albi illustrati dedicati all'infanzia per verificarne la qualità e l'assenza di stereotipi (sono molto interessanti le loro indicazioni bibliografiche reperibili anche on line).
Ha poi raccontato il progetto La scuola fa differenza, svolto con 17 scuole romane (vedi il programma ). Il progetto coinvolgeva insegnanti che lavorano con bimbi e bimbe della fascia di età 0-6. Il lavoro ha preso le mosse dalla storia del pensiero e della condizione femminile (coinvolgendo la Casa delle donne), per arrivare ad un percorso laboratoriale. Marini ha sottolineato come fosse significativo il fatto che tutte le partecipanti fossero maestre donne.
A dire il vero anche al convegno pesarese gli uomini erano alquanto scarsi, a riprova della troppo scarsa presenza maschile nel mondo della scuola.
Il lavoro del progetto svolto a Roma ha preso in considerazione:
1) i ruoli di genere nella famiglia, come ad esempio questo passa nei giocattoli (con l'elemento di libertà presente nel gioco dei travestimenti)
2) il linguaggio
3) gli infiniti tipi di famiglie presenti nella società attuale
4) l'importanza di saper esprimere le emozioni
I gruppi di insegnanti hanno poi avuto un momento di riflessione sul percorso svolto e la Marini non ha nascosto che per molti di loro quello sia stato un momento traumatico. Con la richiesta da parte delle docenti di soluzioni pronte per l'uso in classe e la difficile ricerca di un controllo totale sul proprio lavoro. 
Questo tipo di percorso, continua la Marini, è complesso e la presa di consapevolezza degli stereotipi parla anche alle biografie di ognuno dei partecipanti. Quello che si può ottenere non sono ricette belle e pronte ma un affinamento dello sguardo e una maggiore attenzione ai testi e ai linguaggi da proporre ai bambini. La relatrice romana ha citato i libri di Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli, 1973 e quello che ne riprende i temi di Loredana Lipperini, Ancora dalla parte delle bambine, uscito per la stessa casa editrice nel 2007.

                         

Il lavoro da svolgere con i bambini è sicuramente quello di aiutarli a costruire l'autostima cercando l'equilibrio con gli altri per evitare la sopraffazione. Cercando una alleanza tra nido, scuola e famiglia.
Marini ha indicato le fiabe come un vero e proprio inno alla differenza, con infinite possibilità di riscrittura e di varianti. In particolare il laboratorio di Scosse, che si svolgeva il pomeriggio lavorava sulla fiaba di Cappuccetto rosso.
Il progetto romano ha subito forti critiche da parte di alcune associazioni cattoliche (si veda a tal proposito un articolo della rivista alfabeta2 ).
Ha ricordato anche l'appuntamento di Roma il 20 e 21 settembre 2014 con una due giorni sull'educazione alle differenze.



Nadia Muscialini

A seguire ha preso la parola la dottoressa Nadia Muscialini (psicanalista, responsabile del  centro antiviolenza "Soccorso rosa" presso l'ospedale San Carlo Borromeo di Milano) che con Stefano Reschini (psicologo e psicoterapeuta) ha parlato del lavoro del Centro antiviolenza di Milano e soprattutto del lavoro di informazione e prevenzione presso le scuole secondarie di primo grado, dove cerca di smontare stereotipi, discriminazioni e cyberbullismo.
Muscialini ha criticato l'eccessiva attenzione ai numeri da parte degli amministratori che non si chiedono quante donne siano poi uscite dalla situazione di violenza, quindi l'occhio va posto anche e soprattutto sulla qualità che può offrire un centro antiviolenza e non solo al numero dei colloqui svolti.
Essendo molto difficile intervenire direttamente sui minori testimoni di violenza, perché essendo figli di genitori in conflitto spesso non vengono autorizzati da uno dei due a partecipare agli incontri con gli esperti, hanno deciso di operare soprattutto dove i ragazzi passano il loro tempo maggiore, ovvero nelle scuole.
Nel suo libro Di pari passo, Nadia Muscialini prende proprio in esame il lavoro di prevenzione ed informazione che fa nelle scuole. 



Perché nei colloqui, confida la Muscialini, viene fuori tantissimo la figura dell'insegnante, che nel bene e nel male incide molto nella vita dei ragazzi. Esistono ovviamente anche stereotipi di cui è fatto vittima l'insegnante, ma il suo è un ruolo molto importante e il lavoro che svolge il centro antiviolenza nelle scuole cerca di fornire loro strumenti pratici per smontare le chiusure e le stereotipie e prevenire le violenze.
 Affinché segua anche una consapevolezza al diluvio di informazioni che i ragazzi hanno. Sono spesso informati di molti aspetti, ma non sono davvero coscienti dei problemi, della gravità dei loro o degli altrui gesti (vedi il cyber bullismo) denuncia Stefano Reschini.


Al convegno: Stefano Reschini, Nadia Muscialini, Sara Marini, Monica Martinelli

Reschini ha raccontato un po' il lavoro che svolgono nelle classi.
All'inizio si mettono in ascolto di ciò che sanno i ragazzi di violenza domestica, di violenza di genere e poi cercando si smitizzare false credenze e far prendere consapevolezza di quanto anche via web le parole possano ferire. Sottopongono questionari anonimi sui temi proposti. Fanno lavorare i ragazzi in piccoli gruppi cercando di creare un rapporto orizzontale. Con i genitori hanno due momenti di confronto, prima  una presentazione del progetto poi una restituzione alla fine, per metterli in comunicazione con i pensieri dei figli (senza fare riferimenti ai nomi). Poi a due mesi dalla fine del progetto sottopongono i ragazzi ad un nuovo questionario per vedere gli effetti e le riflessioni che il lavoro svolto ha lasciato in loro.
I cambiamenti di solito ci sono. La speranza è quella di creare dei ragazzi in grado di formare altri coetanei su quei temi, ridando ad esempio il giusto senso alla parola "rispetto" che spesso per i ragazzi  significa farsi rispettare con l'aggressività.
Inoltre Reschini ha anche dato alcune percentuali sui falsi miti nel discorso sulla violenza contro le donne: su 800 ragazzi, il 25% è d'accordo sull'idea che nella violenza la donna ha provocato, per il 68% un partner violento può cambiare per amore. In Italia, tra l'altro, non esistono dati ufficiali sulla violenza di genere. Bisogna, ha concluso Reschini, far capire bene il disvalore sociale della violenza.

(Fine prima parte degli appunti. Nel prossimo post condividerò gli altri appunti sul convegno, che ha poi visto gli interventi di Filippo Mittino, Antonio Ferrara, Sonia Basilico, Irene Biemmi, Francesca Ceccarelli, Valentina Corinti. Posterò anche qualche nota sui due laboratori pomeridiani cui ho partecipato.)