domenica 11 gennaio 2015

Intervista a Francesco Rosi. Cadaveri eccellenti

Per ricordare il regista Francesco Rosi che ci ha lasciato a 92 anni, 
riporto qui una mia  intervista,  che registrai l'11 luglio del 1994
nella sua casa romana di Via Gregoriana. Lo avevo conosciuto all'Accademia di Francia che nel novembre 1993 gli aveva dedicato una retrospettiva nella sala Renoir, all'interno della bellissima Villa Medici in cui ha sede a Roma.
La conversazione è incentrata soprattutto sul suo film Cadaveri eccellenti (1976), tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia Il contesto (1971) . Tale intervista andò a far parte della mia tesi di laurea sullo scrittore siciliano e venne pubblicata alcuni anni fa sulla rivista Frameonline.
Ai lettori più giovani consiglio, oltre alla visione del film in questione, anche di recuperare altri capolavori di Rosi. Iniziando da questa filmografia essenziale: Salvatore Giuliano (1962), Le mani sulla città (1963), Uomini contro (1970), Il caso Mattei (1972), Cristo si è fermato a Eboli (1979).
Per una bibliografia indicherei almeno: Francesco Rosi, Io lo chiamo cinematografo. Conversazione con Giuseppe Tornatore, Mondadori, 2012; Michel Ciment, Dossier Rosi, Il Castoro, 2009; Cadaveri eccellenti, sceneggiatura desunta da David Bruni, saggio introduttivo di Lino Micciché, Maimone editore, 1992



 Intervista a Francesco Rosi 




Quali sono stati i motivi ispiratori per la trasposizione cinematografica de Il contesto?

F.Rosi: Il contesto di Sciascia mi ha consentito di poter riprendere le tematiche che io avevo affrontato e sviluppato in alcuni dei miei film precedenti; film che in parte erano partiti da argomenti simili a quelli dai quali muoveva Sciascia per il suo libro. Alludo particolarmente a Salvatore Giuliano, a Le mani sulla città e a Lucky Luciano, che sono tutti film nei quali ho affrontato il discorso del potere, dei vari poteri, dei poteri corrotti delle istituzioni dello stato, dei poteri corrotti del mondo economico e dei poteri criminali. La collusione tra questi poteri, naturalmente dominata dalla mafia che se ne alimentava, collisa con il potere politico e con il potere dei partiti, aveva generato quell'Italia che poi è esplosa attraverso Tangentopoli ma che era già ben declinabile allora. Quell'Italia alla quale il libro Il contesto e il film Cadaveri eccellenti, praticamente facevano il funerale.




Sciascia intervenne mai durante la lavorazione del film?

Rosi: No, no... Io chiesi a Sciascia e gli dissi le ragioni per cui volevo filmare il suo libro. Eravamo molto amici Sciascia ed io, gli spiegai, per esempio, che mentre lui nel libro non parlava precisamente dell'Italia; io invece dovevo affrontare il problema dell'immagine e quindi dovevo riconoscerla l'Italia. Avevo preso questa decisione che naturalmente mi portava a rendere la materia molto meno divertente o divertita, come Sciascia dice: "ho cominciato a scrivere questo libro divertendomi, poi mano a mano che andavo avanti non mi sono divertito più...", e capisco il motivo. 
Io invece ho dovuto scegliere di riconoscere l'Italia perché le immagini vivono soprattutto di realtà e non di metafora. La metafora è un genere nel quale la letteratura ha una possibilità di espressione molto più libera di quanto non possa avere il cinema, il quale si riconduce, per una certa fisicità e per una certa riconoscibilità, sempre alla realtà. Quindi io non potevo parlare di poteri corrotti, senza individuarli. Non potevo parlare di un supposto colpo di stato senza dire dove avvenisse, perché alla fine si sarebbe potuto pensare ad un colpo di stato di un paese da operetta, cosa che io non avevo assolutamente intenzione di fare. Non potevo parlare di partiti politici senza riconoscere in questi partiti alcune formazioni politiche italiane. Quindi presi questa decisione, Sciascia fu d'accordo, disse: "fai tu, il film è dell'autore del film, mentre il libro è dell'autore del libro". Poi ha visto il film terminato e non ha mai, non solo per scelta mia ma anche per scelta sua, fatto osservazioni alla sceneggiatura durante il corso della lavorazione.


Francesco Rosi e Leonardo Sciascia

Lei ha reinterpretato alcuni aspetti dell'ambientazione rendendola più pittorica rispetto a quella un po' scarna del romanzo. Penso al barocco dei funerali...

 Rosi: Io avevo bisogno di creare attraverso le immagini una certa dimensione metafisica, pur riconoscendo nel film la realtà di un paese. Per rendere la realtà del film più interpretata non riprodotta come una cronaca, avevo bisogno di creare una dimensione più vasta e indefinita. E allora attraverso la scelta della luce e dei luoghi ho cercato di ricreare l'atmosfera metafisica del romanzo.
Infatti quei luoghi di Napoli, per esempio: gli scaloni del palazzo reale dilatati dall'uso di un obiettivo opportuno, o anche la piazza dove si svolgono i funerali del procuratore; o l'archivio di stato di Palermo con le sue enormi dimensioni, mi hanno aiutato molto a mantenere la riconoscibilità del paese attraverso il quale mi muovevo. Però hanno aiutato il pubblico cinematografico a capire il processo di interpretazione e di superamento di una certa realtà che io conducevo.




Questa locandina è opera di Enrico Baj.

Lei ha dato un andamento da giallo classico alla narrazione, mentre Sciascia aveva parodiato il genere. Ciò è avvenuto soprattutto per la presenza di Lino Ventura che impersona un Rogas meno intellettuale?

Rosi:Io avevo necessità che il pubblico riconoscesse nel personaggio dell'investigatore un commissario di pubblica sicurezza e non tanto un intellettuale. Ventura si trascinava dietro l'immagine del commissario che aveva già svolto nel cinema francese, e ciò mi aiutava nei confronti degli spettatori che riconoscevano subito il poliziotto.
Ma allo stesso tempo siccome Sciascia al suo personaggio di investigatore attribuiva delle capacità e una appartenenza ad un mondo intellettuale,  io certamente ho considerato anche quell'aspetto.



Sono riferimenti al mondo intellettuale di Rogas, il tango e la festa con le scenografie di Guttuso e Schifano?

Rosi: Per esprimere l'atmosfera borgesiana del romanzo ho pensato al tango di Astor Piazzolla; mentre le tele di Guttuso e Schifano e le statue di Ceroli si prestavano efficacemente a riprodurre la scena di una casa alto borghese.




Sciascia nel saggio La Sicilia nel cinema critica la scelta di Visconti di utilizzare il dialetto siciliano nella Terra trema. Che pensa della critica sciasciana?

Rosi: Visconti ha usato come riferimento Verga ma poi ha creato un film sulla situazione di un paese siciliano facendo interpretare i personaggi da persone che non avevano mai fatto il cinema, assieme alle quali riscriveva i dialoghi nel loro dialetto perché poi potessero esprimersi a loro agio. Non sono quindi d'accordo con le critiche di Sciascia, anche se ho sempre riconosciuto che il non essersi preoccupati di rendere comprensibili i dialoghi in siciliano stretto era un limite.

Le parlò mai delle trasposizioni effettuate dai suoi romanzi e delle sue esperienze di sceneggiatore?

Rosi: Francamente no, non ne abbiamo parlato; io ho sempre conosciuto il suo grande interesse e la sua passione per il cinema, lui ha scritto di tanti film, si è occupato di critica. Non credo tuttavia che Sciascia avesse un reale interesse a fare lo sceneggiatore anche se il film Bronte, sceneggiato con Vancini, è un ottimo lavoro.

Si mostrò deluso dalle altre trasposizioni?

Rosi: Non so. Io le posso parlare del fatto che apprezzò e amò molto Cadaveri eccellenti: ne ha anche scritto affermando che non rinnegava neanche una virgola e che gli andava benissimo il fatto che io avessi voluto riconoscere l'Italia. Si disse d'accordo anche sulle cose che io avevo interpretato andando al di là di quello che aveva scritto. Per esempio tutta la sequenza iniziale, del procuratore che va a parlare nella cripta affrontando un dialogo muto con le mummie, l'ho inventata io, raccogliendo spunti da ciò che avveniva nella realtà siciliana. Perché il procuratore Scaglione, quello che fu ucciso, andava ogni mattina a rendere omaggio alla memoria della moglie.
Ho pensato che quel dialogo muto potesse significare chiaramente, anche nei confronti del pubblico meno avvertito, che il potere si rigenera sui cadaveri.

Le scene del libro di più facile trasposizione sono rimaste invariate: penso ad esempio alla scena dell'incontro tra Rogas e il vagabondo sotto il monumento...

Rosi: Laddove c'erano dei dialoghi così precisi da potersi riprodurre senza variazioni, io l'ho fatto. Perché così ho potuto rispettare lo spirito del libro nella maniera più profonda e più ampia. Naturalmente si trattava di scegliere i luoghi giusti, gli attori giusti. Per esempio, quella dell'incontro col vagabondo, è la piazza ci un paese che si chiama Siculiana. Quel monumentino che è al centro della piazza aveva alla base un giardinetto che io ho trasformato coprendolo di ciottoli per poter rendere la piazza tutta riconducibile ad una unità scenografica. Quel giardinetto finiva col darmi fastidio perché quella piazza è abbacinata dal sole che si riflette sulle pietre e sulle facciate delle case.




Un'altra scena cardine del libro e del film è l'incontro tra Rogas e Riches: anche lì ha cercato di rispettare il dialogo sciasciano?

Rosi: Sì, il dialogo è pressoché identico a quello del libro.

In quella scena i movimenti di macchina sono ridotti al minimo...

Rosi: Muovendo la camera un regista cerca di far capire meglio i movimenti interiori dei personaggi. I movimenti di camera non devono mai essere gratuiti o formali: debbono praticamente seguire prima di tutto le necessità della scansione cinematografica.




Nel suo film lei ha rinunciato ad un punto di vista super partes che corrispondesse al narratore onnisciente de Il contesto?

Rosi: Nei miei film cerco sempre di privilegiare un punto di vista obiettivo ma naturalmente il punto di vista dei personaggi deve essere chiaro, anche se in questi film che sono condotti con una struttura ad inchiesta, è sempre presente il punto di vista di chi l'inchiesta sta conducendo.
Questo punto di vista si deve anche perdere nel punto di vista generale che è quello del contesto e quello della realtà oggettiva che ci circonda, per esempio in Salvatore Giuliano è chiaro che il punto di vista è quello della macchina da presa che sta portando avanti l'inchiesta. Ho cercato nei film-inchiesta di dare da una parte un quadro della realtà che si conosce e dall'altra dare elementi per le ipotesi sulla realtà non conosciuta.

Nel romanzo c'è una visione più pessimistica nel finale, mentre nel film c'è una reazione della base comunista...

Rosi: Mi serviva per rendere chiaro quello che era alla base del libro di Sciascia e del mio film, ovvero il concetto che l'opposizione doveva fare l'opposizione e il governo doveva governare, mentre invece c'erano elementi di compromesso ai vertici del potere. La frase "la verità non è sempre rivoluzionaria", sta ad esprimere il tentativo ai vertici del potere di mantenere l'egemonia senza far conoscere la verità alle masse per evitare una degenerazione destabilizzante l'ordine costituito.

Cadaveri eccellenti è uno dei film con più piani ravvicinati della storia del cinema. Con questo ha voluto dare un'impressione di oppressione del "contesto" sull'individuo?

Rosi: In verità avendo adoperato degli obiettivi grandangolari per dilatare le dimensioni fisiche dei luoghi ho trovato che l'avvicinamento ai personaggi mi compensasse dall'allontanamento creato dal grandangolare. Per cui è venuto fuori un certo tipo di discorso stilistico che mi sembra risolto.

Quindi quell'atmosfera kafkiana è scaturita più da una esigenza formale e di equilibrio stilistico?

Rosi: Direi di equilibrio stilistico, perché l'arte dell'immagine si manifesta soprattutto attraverso l'equilibrio delle forme.

Lei usa spesso immagini fisse e dettagli di fotografie: ciò la accomuna a Sciascia che era un grande amante della fotografia. Vuole creare con questo espediente uno spleen?

Rosi: La fotografia fissa ha un potere evocativo che a volte è superiore a quello delle immagini, perché la fotografia fissa suggerisce mentre l'immagine in movimento fa vedere, ciò non toglie che l'immagine in movimento possa suggerire. La forza di una fotografia non è tanto la sua bellezza quanto la capacità di far capire tutto il mondo che c'è dietro quell'immagine. Questo è ciò che rende la fotografia uno dei modi più profondi di rappresentare la realtà.

Che ne pensa delle polemiche su Sciascia di Arlacchi e Vassalli?

Rosi: Non sono d'accordo. L'opera di Sciascia è stata la prima ad affrontare apertamente il problema mafia. Il suo coraggio non può essere annullato per un articolo inopportuno che Sciascia scrisse per quel gusto del paradosso che spingeva fino alle estreme conseguenze. Sciascia non è fraintendibile, è una grande coscienza critica di tutto quello che è avvenuto in questo paese.

Lei ha girato con Visconti tre film: La terra trema, Bellissima e Senso. In che misura ne è stato influenzato nei suoi film più "letterari"?

Rosi: Io non credo che un aiuto-regista imiti, pur essendo stato aiuto di Visconti, un certo mio cinema è più vicino alla lezione di Rossellini. Che io abbia espresso in Carmen o in Cadaveri eccellenti in maniera più evidente una certa raffinatezza dell'immagine non significa che non l'abbia fatto nei film precedenti. Perché ne Le mani sulla città o in Salvatore Giuliano c'è la stessa scelta dell'immagine, solo che i soggetti  si prestano meno ad una lettura attenta a livello estetico.




Lei ha detto che in Cadaveri eccellenti ha voluto togliere colore per evitarne la trappola della piattezza realistica.

Rosi: Mentre Di Venanzo si esprimeva con uno splendido bianco e nero che ha il potere di trasferire la realtà con P. De Santis ho cercato di evitare che il colore ci trascinasse verso il realistico e per far ciò bisogna intervenire, o mettendo certi colori davanti alla macchina da presa, oppure bisogna intervenire sulla luce. De Santis ha dato ottimi esempi di come si possa ricondurre il colore a un certo tipo di trasferimento della realtà che si ha in mente di dare.

C'è stata una corrispondenza epistolare tra lei e Sciascia?

Rosi: No, non ci siamo mai scambiati lettere.

Intervista a cura di Giovanni Petitti





Charlie Hebdo. La difficoltà di parlarne con i giovanissimi




    In questo momento di lutto per i morti in Francia e per i tanti morti nei conflitti aperti in tante parti del mondo (vedi la bambina nigeriana di 10 anni imbottita di esplosivo da Boko haram o la neonata morta di gelo tra le rovine di Gaza), sento il bisogno di tacere e di ascoltare, ma soprattutto di leggere i pensieri altrui. 

    Cerco di pensare a come affrontare un discorso così tragico e complesso con dei giovanissimi che ne subiscono le immagini di morte, oscenamente  strumentalizzate per il fanatismo nel web o per l'audience da molti canali tv.  

    Credo che, come sempre, la via possa essere quella della lettura, della riflessione sulle parole.

    Per esempio partendo dalle parole dello scrittore francese Daniel Pennac sulle guerre che ci rimbalzano in casa.
    Leggendo le riflessioni di varia natura sul sito di Internazionale.it e sui quotidiani. Ascoltando le riflessioni di Radiotre mondo o di Prima pagina sempre su Radiotre rai.

    Oppure segnalando l'importanza dell'articolo 19 della dichiarazione dei diritti dell'uomo (1948):
    • Art. 19: Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere.

    O magari andando sul sito della Treccani.it, nella sezione per ragazzi, a indagare su cosa voglia dire la parola satira e quale sia stata la sua storia.

    Andando in biblioteca o in libreria ad aprire qualche pagina dell'illuminista Voltaire, come la voce fanatismo, nel suo  Dizionario filosofico.
    Allenarsi a ripensare le parole, allenarli a riflettere, pur sapendo (come sottolinea Pennac) che non sempre la cultura frena l'anima distruttiva dell'uomo.


mercoledì 7 gennaio 2015

Pino Daniele. Putesse essere allero


                       Pino Daniele negli anni '70 (foto tratta dal sito ilmucchio.net)

Confesso che erano passati parecchi anni e diversi dischi da quando  non seguivo più la carriera di Pino Daniele.
Molte delle sue canzoni recenti ascoltate alla radio non mi suscitavano la curiosità di conoscere meglio i lavori da cui erano tratte, mi sembrava si fosse rifugiato in una dimensione di musica orecchiabile che non mi interessava.
 I suoi primi dischi sono invece anche i primi che ho acquistato da ragazzino, ne conservo le ormai obsolete musicassette originali.
Li amavo ed ho continuato ad amarli e per salutare Pino Daniele, come fosse un vecchio amico che si è perso di vista ma la cui perdita ci addolora, posto qui  
Putesse essere allero
una delle sue vecchie canzoni che preferisco. 
Tratta dal suo secondo disco, Pino Daniele del 1979.