sabato 6 settembre 2014

Che bello star seduti sull'erba, alla fine di una partita di calcio.


Il profluvio di  commenti televisivi o radiofonici, le ciance dei presunti esperti, i discorsi da bar spacciati per editoriali, il lessico razzista del dirigente di federazione, i compensi spropositati ai calciatori, la violenza negli stadi, rischiano di far dimenticare che il calcio è un gioco. Fino a togliere il piacere di praticarlo o di guardarlo.
Per riportare l'attenzione sull'aspetto libero e ludico del calcio citerò un brano di un piccolo libro francese che  mio figlio ha scovato in un mercatino:  Che bello (titolo originale C'est bien), di Philippe Delerm, edito dalla Salani nel 1999,  tradotto da Donatella Ziliotto e illustrato da Paolo Cardoni, . 



E' una di quelle letture lievi e ironiche indirizzata ai ragazzi che può dar piacere anche a chi ragazzo non è. 
Brevi notazioni sui piccoli piaceri della vita. Tant'è che il titolo completo recita: Che bello fare i compiti sul tavolo della cucina e altri minuscoli piaceri.


Philippe Delerm


Il capitolo da cui traggo le righe seguenti è: Che bello star seduti sull'erba, alla fine di una partita di calcio.

"Siamo all'inizio della primavera, il tempo è bello, molto caldo, ma l'erba è fresca, la terra quasi umida. Abbiamo vinto o perso, non è importante. Quello che conta, sono proprio questi cinque minuti. Abbiamo corso per un'ora in tutte le direzioni dietro il pallone che non la smetteva di scappare. Ora, ecco la ricompensa. L'arbitro è rientrato negli spogliatoi da un bel po', e la maggior parte dei giocatori sta già facendo la doccia. L'allenatore ci ha ammoniti: " Non rimanete così, ragazzi, prenderete freddo!"
Abbiamo risposto che arrivavamo, ma rimaniamo là, in due o tre, senza parlare. Non pensiamo veramente a niente. Il campo è bello, in questo istante. Seduti accanto al paletto del corner, posiamo il piede sulla linea bianca. Non rappresenta più un limite per la palla, se è uscita o no, ma quasi un paesaggio, con gobbe, colline bianche che si sgretolano sotto le scarpe coi tacchetti. [...]
Non ci si vorrebbe più muovere. Un bosco immenso intorno, un campo da calcio in mezzo, e nient'altro. Come se avessimo giocato a calcio solo nell'attesa di quel momento". 

Mi piace molto questa descrizione, credo che molti ci si possano ritrovare: il silenzio, la stasi dopo la partita, la natura circostante, l'indifferenza per il risultato nella consapevolezza di essersi divertiti a giocare. 
Lontani dalle ansie di quei genitori che a volte stressano i figli sognandoli già professionisti e ricchi. 
Non dimenticherò mai un padre di un ragazzino torinese che regalava soldi al figlio undicenne ogni volta che faceva un gol con la sua squadretta, mentre si disinteressava completamente dei suoi risultati e del suo benessere a scuola.


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